«[…] Mi raccontano la storia di un cavallo imbizzarrito che aveva scaraventato giù un uomo lasciandolo moribondo. Un uomo si trovò sul posto della disgrazia e immediatamente dopo si gettò in ginocchio presso lo sfortunato cavaliere e gli afferrò la mano chiedendogli se fosse ancora in vita, quindi esclamò: “Se vi resta fiato, per l’amor di Dio ditemi quanti anni avete affinché io possa giocarmi questo numero al lotto” […]» (Charles Dickens, Impressioni di Napoli, 1844)
La passione del popolo partenopeo per la simbologia numerica ha origini antiche e si intreccia con il gioco del lotto, la cui genesi in Italia è legata alla pratica delle lotterie. La prima forma di regolamentazione del gioco fu approvata a Genova nel 1620, dall’ammiraglio Andrea Doria che convinse le autorità cittadine a legiferare sulla nomina, a rotazione semestrale, di cinque membri dei Serenissimi Collegi da scegliersi con sorteggio fra gli esponenti della nobiltà cittadina.
L’operazione di nomina divenne oggetto di scommesse, le quali venivano organizzate raccogliendo le poste degli scommettitori. Il ricavato era distribuito tra chi aveva indovinato i cinque nomi e gli organizzatori. Poco tempo dopo, il gioco si evolse con la sostituzione dei nomi con i numeri, diffondendosi in tutta Italia.
Al gioco del lotto è legata la nascita della tombola nella tradizione della smorfia napoletana. La storia narra di una diatriba sorta nei primi anni del regno borbonico tra re Carlo e Gregorio Maria Rocco, un frate domenicano all’epoca molto noto in città per il suo rigore religioso.
Quando il sovrano decise di legalizzare il lotto, per tentare di arginare il vizio delle classi più povere e allo stesso tempo finanziare le casse dello Stato con le entrate illegali, il frate domenicano si oppose a questa idea, ritenendola immorale e contraria ai principi cattolici. Dopo numerosi incontri tra i due protagonisti fu trovato l’accordo per legalizzare il gioco che veniva però sospeso durante le festività natalizie.
I cittadini napoletani, tuttavia, non gradirono troppo questo compromesso e trasformarono il lotto in un gioco da condurre in casa, oggi conosciuto come tombola, che divenne una delle tradizioni del Natale partenopeo.
I novanta numeri del lotto venivano estratti da un cesto di vimini a forma cilindrica – ‘o panariello – che, secondo alcuni, ricordava nella forma il tombolo utilizzato per fare merletti e pizzi. Ogni giocatore acquistava una o più cartelle contenenti 15 numeri, dalla cui vendita si costituiva il montepremi suddiviso tra i giocatori in ordine crescente in ambo, terna, quaterna, cinquina e tombola. Scopo del gioco era quello di riempire l’intera cartella adoperando le cosiddette ciociole natalizie a mano a mano che i numeri venivano pescati dal panariello.
Ancora oggi nelle case napoletane durante il periodo natalizio la tombola unisce, diverte e rallegra intere famiglie e gruppi di amici.