Sbattute bene con un frullo le uova in un vase, e condite di sale, si verseranno nel fior di farina, col quale, ben maneggiato, se ne formerà una soda pasta, dalia quale, riposata per qualche tempo, se ne formeranno tanti maccaroncini, che tagliati in pieciolissimi pezzi, come a pallini, ed infarinati per non farli attaccare, si friggeranno in strutto, e cotti si legheranno con mele purificato, e si serviranno con zucchero polverizzato (Vincenzo Corrado, Il Cuoco Galante)
La pasticceria napoletana è considerata una vera e propria arte gastronomica, un patrimonio culturale scrigno di storia e tradizione. Molti dolci partenopei, ancora oggi diffusi, sono frutto dell’influenza delle diverse culture che hanno attraversato Napoli e il Sud Italia, da quella magno-greca a quella romana fino a quella normanno-sveva, angioina, aragonese e austriaca.
Sono soprattutto i dolci di Natale – mostaccioli, roccocò e pasta reale – a caratterizzare la pasticceria napoletana, tra questi i gustosi e fragranti struffoli. La preparazione e il consumo di questo dolce erano diffusi già nel Settecento come testimoniato dal cuoco, filosofo e letterato Vincenzo Corrado, autore de “Il Cuoco Galante”, libro di alta cucina diffuso in tutto il Regno delle Due Sicilie e richiesto anche da varie corti europee. Nel ricettario è possibile leggere dettagliatamente la preparazione di questo dolce natalizio, indicato come “Bignè All’Innumerabile”.
Nonostante l’etimologia greca del termine “struffoli”, composta da i due termini “strongoulus“, che significa “arrotondato”, e da “pristòs”, che vuol dire “tagliato”, sembra che la ricetta abbia un forte legame con la corte spagnola, al tempo del vicereame spagnolo a Napoli. Nella cucina andalusa, infatti, esiste un dolce estremamente simile agli struffoli: le piñonate. Gli ingredienti principali del suo impasto sono farina, uova e olio d’oliva, ma il più importante è il miele, che ricopre e conferisce il suo delizioso sapore dolce al piatto.
Gli struffoli, conosciuti a Napoli anche con il nome di “strangolapre(ve)te“, sono diffusi anche in tutta l’Italia centro-meridionale con nomi diversi a seconda della regione. Ad esempio, “pignolata” in Sicilia, “purceddhruzzi” in Puglia, mentre in Abruzzo sono conosciuti come “cicerchiata”, perché della stessa forma delle cicerchie, e in Calabria e Basilicata sono noti come “cicerata” per la somiglianza ai ceci.