Qual è il fine politico delle pene? Il terrore degli altri uomini […] è importante che ogni delitto palese non sia impunito, ma è inutile che si accerti che sta sepolto nelle tenebre. Un male già fatto, ed a cui non v’è rimedio, non può esser punito dalla società politica che quanto influisce sugli altri con la lusinga dell’impunità. (Cesare Beccaria, 1764 – Dei delitti e delle pene)
La filosofia illuminista, diffusasi nel XVIII secolo, rivoluzionò le teorie sociali, economiche, politiche e persino le concezioni giuridiche del tempo. Secondo l’Illuminismo la legge era espressione della ragione umana e, nell’ambito dei diritti umani, doveva essere ispirata a una necessaria proporzione tra reato e pena.
In Italia, Cesare Beccaria nell’opera “Dei delitti e delle pene” (1764) pose l’accento sulla necessità di applicare con certezza e rapidità una pena che non necessariamente doveva essere terribile, dal momento che una pena certa e duratura ha un potere intimidatorio superiore rispetto a quello di una pena terribile ma incerta nella sua applicazione.
Le istanze illuministe furono accolte in numerosi Stati europei, tra cui l’Impero austro-ungarico, il Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo e il Regno delle Due Sicilie, dove, dal 1774, era stato introdotto nell’impianto processuale borbonico l’obbligo della Motivazione delle Sentenze, in linea con le teorie illuministe del giurista napoletano Gaetano Filangieri.
Il governo borbonico, desiderando promuovere una forma di giustizia capace di riconoscere e garantire gli stessi diritti a ogni individuo, si adoperò per la realizzazione di varie opere sociali. Una delle prime più imponenti fu il Real Albergo dei Poveri, nato per offrire asilo e assistenza ai poveri del regno di Napoli e assumere il compito di mostrare la magnificenza del sovrano a quanti utilizzavano l’ingresso d’onore della capitale provenendo da Capodichino, l’ex Campo di Marte, lungo la via del Campo e via Foria in un’area che da tempo ospitava ospedali assistenziali.
Un’altra iniziativa della politica sociale borbonica di fine del ‘700 fu il Cimitero di Santa Maria del Popolo, noto come Cimitero delle 366 fosse, opera di ingegneria civile più innovativa progettata nel 1762 da Ferdinando Fuga. Il complesso cimiteriale assicurò ai ceti più poveri degna sepoltura, garantendo condizioni igienico-sanitarie capaci di impedire il rapido diffondersi di infezioni.
Al Belvedere di San Leucio, invece, fu concepita dalla corte borbonica la maggiore opera di giustizia sociale ed economica. Qui dal 1778 fu avviata la Real Manifattura della Seta e nel 1789 fu istituita la Real Colonia di San Leucio, la comunità autonoma di lavoratori dediti alla lavorazione della preziosa tessitura di corte e alle attività agricole, la più particolare delle quali fu la Vigna del Ventaglio. La comunità fu regolata dal Codice leuciano, una raccolta di leggi ispirata alla filosofia illuminista, il cui grande merito fu quello di considerare, per la prima volta nella cultura occidentale, il ruolo della donna al pari di quello dell’uomo.