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Carcere borbonico di Santo Stefano

1795, Ventotene

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Il carcere borbonico sull'isolotto di Santo Stefano si trova a circa un miglio da Ventotene nell'arcipelago delle isole Pontine. Gioiello di architettura, per quasi due secoli è stato luogo di reclusione per detenuti comuni e dissidenti politici

Il sito

Alla fine del Settecento re Ferdinando IV di Borbone ordinò la realizzazione di un ‘bagno penale’ sull’isola di Santo Stefano, incaricando l’architetto Francesco Carpi del genio.

La struttura carceraria fu, in ordine di tempo, l’ultimo intervento legato all’esperimento illuminato della corte borbonica teso a ripopolare dal 1768 le isole pontine, dal 1731 proprietà allodiale di Carlo di Borbone (ereditata dalla famiglia Farnese), con le popolazioni del golfo di Napoli, mediante anche la rieducazione di vagabondi, indigenti e malfattori.

Il progetto del Carpi risente, tra i primi al mondo, dell’influenza della filosofia illuminista e in particolare del ‘Panopticon’ di Jeremy Bentham, pur non essendo il Carpi entrato direttamente in contatto. La pianta del carcere riproduce la pianta a ferro di cavallo del Teatro di San Carlo di Napoli con una soluzione architettonica che consentiva da un unico punto una costante sorveglianza delle celle da parte del personale di custodia.

Completavano il complesso carcerario gli spazi all’estremità dell’emiciclo destinati agli uffici di direzione, del personale sanitario, oltre alla presenza di magazzini, mensa e una cappella.

Durante il periodo borbonico il carcere accolse politici e rivoluzionari legati sia ai moti della Repubblica Napoletana del 1799 che a quelli del 1820 e 1848, tra cui due personaggi di spicco del Risorgimento italiano come Silvio Spaventa e Luigi Settembrini.

Negli anni del Regno d’Italia la struttura continuò ad accogliere detenuti comuni, brigati e anarchici come Gaetano Bresci attentatore del re Umberto I di Savoia. Nel ventennio fascista nel carcere furono esiliati dissidenti politici come Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Rocco Pugliese, Sandro Pertini e Altiero Spinelli.

L’attività carceraria, dopo la Seconda Guerra Mondiale, proseguì fino al 1962 con la direzione di Eugenio Perucatti che avviò un’opera di umanizzazione delle condizioni carcerarie preludendo alla successiva riforma dell’ordinamento penitenziario italiano.

Dopo più di cinquant’anni di abbandono, nel 2016 è stato avviato un progetto di riqualificazione del carcere borbonico che si propone di ristrutturarlo per trasformalo in un polo culturale multifunzionale.

L’intervento prevede la realizzazione di un percorso espositivo-museale interno e esterno al Carcere e la realizzazione di spazi per una Scuola di alta formazione, con l’obiettivo di restituire alla collettività il complesso architettonico, valorizzando le vicende storiche ed umane che hanno segnato i 170 anni di vita del monumento legato ai temi della dignità della persona, dei diritti umani e della libertà di pensiero.

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